Siamo un po’ tutti ibridi culturali, ma per favore la michelada NO!

Penso che una delle cose più belle di trasferirsi in via definitiva in un altro paese sia quella che la cultura del posto ti entra dentro e ti modifica. Almeno, questo succede se vivi concretamente nel nuovo paese e non ti sei rifugiato in una bolla di connazionali per evitarne il contatto. Così, lentamente diventi un ibrido. Questa ibridazione culturale è bellissima perché dimostra che la nostra identità è molto, MOLTO, elastica e dipende più dal nostro habitat che dalle nostre credenze che erroneamente consideriamo adamantine e infrangibili. Sei veneto solo perché sei nato e cresciuto in Veneto. Se fossi nato marocchino, saresti stato un orgogliosissimo Aziz, come dicono con ironia Los massadores nella canzone Jijo. Voglio stavolta scrivere su tutti i comportamenti ibridi che ho notato in me, e invito anche voi a dare il vostro contributo. La maggior parte dei lettori sono messicani in Italia o italiani in Messico ma ce ne sono altri che leggono da paesi differenti, sono curioso di conoscere la vostra esperienza. 
– Il tono e il ritmo della parlata, dipendono dal paese in cui avete passato più tempo ultimamente. Nel mio caso, ogni volta che torno in Italia mi dicono che sembro spagnolo. Questo si deve al fatto che se in Italia si becca uno che parla spagnolo, automaticamente è spagnolo. Anche per questo, tutti i cantanti di Reggaeton o merda affine vengono considerati cantanti iberici. Al visitare un amico che non vedevo da quattro anni, ho potuto parlare in dialetto ma lui mi ha confermato che il dialetto che stavo parlando…non era dialetto, perché il tono era completamente differente. 
– Cibi. Le pietanze e i pasti delle due culture convivono ma non si mescolano. Per esempio, di solito con mia moglie facciamo la colazione italiana e la cena messicana. Non è qualcosa che abbiamo deciso volontariamente, è più qualcosa che si impone con il tempo. La domenica la colazione è rigorosamente dolce, con cereali o fette biscottate e marmellata, e il pranzo e la cena sono sempre con le salse sulla tavola, e sono io a mettercele perché mia moglie quasi non mangia piccante. 
– i tabù alimentare delle due culture convivono invece di rompersi. Continuo a pensare con raccapriccio allo zio di mia moglie che ha messo aguacate (avocado) alla pasta al pesto che gli avevo preparato (mai più). Non mi farei mai un taco di soppressa, come non metterei mai (MAI) crema a qualsiasi pasta che preparassi, difetto che noto ogni volta che in Messico preparano la pasta. Sulla pizza la questione è differente. Se mangio una pizza italiana la mangio “all’italiana”, con olio e peperoncino in polvere al massimo (in pizzeria qui non si incontra quasi mai l’origano). Se mangio una pizza azteca o al pastor, ben volentieri ci metto Salsa Valentina. 
– i gesti si mescolano. Se in Messico uno fa o mi chiede una cosa assurda, gli faccio il gesto della manina, che fra parentesi è la gestualità italiana più famosa a livello internazionale, le dita riunite e la mano che si scuote leggermente avanti e indietro. Se attraverso la strada in Italia, alzo la mano a livello della faccia, insegnando il dorso all’autista che mi ha lasciato passare, è il gesto messicano per dire grazie. Non me ne frega niente del fatto che lui non capisca cosa voglia dire, lo faccio automaticamente e penso sempre in ritardo all’errore commesso. 
– insulti e imprecazioni creano un mix imbarazzante, comprensibile solo ai bilingue. Sparate come pinche puttaniere malparido, o fiol de na puta. Evito di scrivere le bestemmie ma anche lì c’è un sincretismo che potrei fare invidia all’Egitto tolemaico. Serapide spostati, lasciami passare. 
– alcune parole fortissime, veri fiori all’occhiello della lingua, sfondano le frontiere semantiche e idiomatiche e cercano il loro posto in tutte le conversazioni. Dallo spagnolo, parole come pinche o naco spingono per cercare di essere usate anche quando parlo italiano. Vorrei insistere con l’accademia della Crusca perché accetti in gran velocità la meravigliosa versatilità di pinche. Allo stesso modo, vorrei poter usare la parola furbo quando parlo in spagnolo, dato che non posso tradurla. E mi piacerebbe poter dire “me está tomando por el culo” perché dire che “me está viendo la cara” mi sembra troppo leggero. Però immaginatevi la reazione messicana all’ascoltare la prima espressione. 
– rimarranno pochissime abitudini alimentari quelle incompatibili o che non riescono a metter radice nella tua o altrui persona. Io considero ancora un’aberrazione ogni modifica che si faccia alla birra. Lasciatela in pace! Cristo, la salsa maggy NO! E nessuno che io conosca qui in Messico mangia la liquirizia con piacere. Sono battaglie perse. 
– anche gli istinti negativi, come il razzismo, diventano in qualche modo compatibili con la persona immigrata o in certa forma più “comprensibili”. Ho già scritto tanti articoli sul razzismo messicano, perché ora lo posso intercettare facilmente, però il fatto stesso che uso con frequenza la parola naco significa che sto disprezzando una persona per il suo modo di comportarsi (di solito alla guida) definendolo con un termine quasi etnico. Conosco anche dei messicani in Italia che sono diventati razzisti “all’italiana”, chi ha orecchie per intendere intenda!
– per ultimo, il tema più importante. La tua personalità stessa cambia. Non è solo questione di cucina e lingua, è proprio un’altra forma di vivere la vita. Trasferendomi nella capitale, non mi è toccata la versione soft del Messico, quella che sempre viene idealizzata, tipo trovare il gusto di vivere in tutto, mantenere la calma e il contegno, poter scherzare su ogni tema, pure la morte. So che in cinque anni sono diventato più aggressivo ma anche più consapevole delle mie capacità. Mi stresso come sempre ma questa volta vedo risultati e digerisco le piccole e grandi tragedie con una resilienza che mi sorprende, almeno finché non sono in famiglia! Quando mia mamma ha sbagliato uscita in autostrada, rischiando di farci perdere il volo, sono sclerato come d’abitudine!
Se dovessi tornare in Italia a vivere, sono sicuro che la versione messicana di Denis mi sarebbe molto utile. 

Informazioni su merkaura

Sono un ragazzo dell’85 della campagna vicentina che la vita ha catapultato in una metropoli antropofaga. Ho una laurea in Storia e una laurea Magistrale in Scienze delle Religioni. Mi guadagno da vivere a Città del Messico dando lezioni di italiano, francese e spagnolo a messicani e stranieri che abitano in Messico, per scuole, imprese o privati. Vivo in una casa in collina, tranquilla e circondata da un bosco miracolosamente salvatosi dall’espansione cittadina. Sono sposato con una messicana e abbiamo due cani a cui parlo in dialetto. Amo mangiare, bere, viaggiare, leggere, scrivere, infatti da quasi 3 anni amministro un blog in cui scrivo ogni settimana descrivendo questo paese, https://messicando.wordpress.com/. Odio le attività adrenaliniche, guidare e non mi interessa lo sport in generale. Unica eccezione delle lunghissime camminate, di 5 o 6 ore in ambiente urbano o in campagna. Sono una persona timida ma quando do lezioni indosso una maschera spigliata e molto più divertente. Se avete bisogno di informazioni su questo paese o volete spettegolare un po’, scrivetemi pure!
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2 risposte a Siamo un po’ tutti ibridi culturali, ma per favore la michelada NO!

  1. Andrea Sorrenti ha detto:

    Penso che il tema dell’ibrido culturale sia una delle cose più affascinanti. Se non lo conosci già, ti consiglio “Culturas Híbridas” di Nestor Gracia Canclini, un sociologo argentino residente in Messico ormai da anni. http://nestorgarciacanclini.net/index.php/culturas-hibridas
    A presto 🙂

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  2. Darío ha detto:

    Ciao Denis, argomento interessantissimo! Delle cose che hai scritto, posso confermartene la maggior parte, provate in prima persona.
    Innanzi tutto la parlata, forse è la cosa di cui si è meno consapevoli, ma una delle prime che colpisce chi non ti vede da un po’. Io mi ero talmente “ibridizzato” in soli due anni (ma io preferisco il termine “inculturato”), che al rientro in Italia, vedendomi al fianco di mia moglie (dalle fattezze mestize) e sentendomi parlare in italiano, mi prendevano tranquillamente per straniero. Una volta mi hanno anche fatto i complimenti per come parlavo bene l’italiano, “quasi senza accento straniero”, giuro! 😀
    Cibo. Sono stato assolutamente e totalmente conquistato dal re della cucina messicana: il chile. Se in passato sopportavo a mala pena il piccante, ora non posso più fare a meno del peperoncino (ma quello buono, messicano – a casa abbiamo una scorta di chile de arbol). Lo metto ovunque (devi provarlo nella pasta al pesto!), e senza chile mi sembra ormai che alle pietanze manchi qualcosa… Como dicen, un dìa sin chile…
    Per i gesti che ti vengono in automatico per la forza dell’abitudine, io ho passato i primi tempi, forse anche il primo anno, al rientro dal Messico, continuando a ripetere “perdòn” ogni volta che avrei dovuto dire dire “mi scusi” 🙂
    Sulle palabrotas, ti confermo l’amore incondizionato per il “pinche”, seguito a brevissima distanza dalle varie declinazioni di “chingar”. Ogni tanto, facevo spaventare i miei genitori, quando scherzavo con uno dei miei figli dicendo: “Adesso ti chingo” e i miei si aspettavano che da un momento all’altro tirassi fuori la cinghia dai pantaloni per fustigarlo! 😮
    Infine ti confermo anche la mia avversione, nonostante vari tentativi, per l’abominio della salsa maggi, valentina e quant’altro dentro la birra. Orrore! Invece un bel boccale di birra, pieno di cubetti di ghiaccio, con succo di limone e sale sul bordo, ti dirò, non lo disdegno mai.

    Chiudo con una nota divertita, circa la tua leggera ibridizzazione linguistica, tendente all’itagnolo, quando dici che “insegni” il dorso della mano (anziché “mostrarlo”). Bellissimo!

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